Thursday, October 28, 2010

The Dominion of Oil




By Kathy Skerritt



The Gallery at Old Stone

1380 Ontario Street

Cleveland, Ohio 44113



November 19, 2010 through January 30, 2011

Gallery Hours: Monday—Friday 9 a.m. to 4 p.m.

Opening Reception: Friday, November 19—5 p.m. to 7 p.m.



The Dominion of Oil at Old Stone Gallery (November 19, 2010 through January 30, 2011), Old Stone Church, Cleveland, Ohio is a solo exhibition by Cleveland-born painter Kathy Skerritt. Deeply disturbed by the rhetoric around and implications of the Deepwater Horizon oil spill off the southern coast of the United States in 2010, Skerritt was impelled to respond in a definitive manner. She felt an urgency to move beyond the usual ways of removing oneself from events that seem to not be connected to the personal because they occur in distant locales. To this end, and for the first time in her portfolio, the artist incorporates quotes and written narrative onto the painted surfaces, offering up the words that influenced how individuals, communities, and nations responded to the event as well as words that may have not yet been heard. The Dominion of Oil is not only Skerritt’s response to Deepwater Horizon. It is a culminating expression of the implications of a much larger pattern of human degradation of Earth inclusive of the Prudhoe Bay/Exxon Valdez oil spill as well as the burning of the Kuwaiti oil fields. New works include “Drill, Baby, Drill!”, “I Want My Life Back”, “You Can’t Fool the Fish”, “Regeneration of the Diatoms (Restoration of the Beautiful)”, and “Whose Cry? Whose Voice?” depicting the artist’s response to the Niger River Delta catastrophe in which the equivalent of an Exxon Valdez has been spilled onto the land and into the water every year for at least the past two decades.



Attached Postcard Images:

Far Left Image: “Whose Cry? Whose Voice?” (4’x5’) is the artist’s response to the equivalent of an Exxon Valdez being spilled in Nigeria every year for at least the past twenty.

Far Right Image: Detail of “I Want My Life Back” (6”x36”) is the artist’s response to being implicated in Deepwater Horizon merely by being a consumer of oil-based products.



For more information contact Beth Giuliano, Director for the Arts and Community Development, by phone or email:

Email: beth@oldstonechurch.org

Phone: 216-241-6145 ext. 23



Opening Reception Friday, November 19, 2010 from 5 p.m. to 7 p.m.

Monday, October 25, 2010

Melissa Live


Hello!

I am performing in a concert on Friday, November 12 at 7pm at St. Mark's Anglican Church in NOTL and would love for you to be there! Please read about the amazing flute player, Mate Szigeti, that I am performing with... This concert is for Mate and his family, as they have recently immigrated to Canada, and are trying to establish themselves as musicians here in Canada. As well, Mate needs to purchase a new flute, and the cost is $16,000. Can you imagine having to purchase an instrument that costs so much? This is when I am so grateful to carry my instrument in my throat! We are banding together to help raise money for him to buy his flute.
Please consider coming to the concert, it's for a great cause.
With thanks
Melissa

Tuesday, October 19, 2010

IL FINE SETTIMANA DI HAROLD

I grattacieli di San Diego stavano scomparendo alle spalle di Harold Labinsky mentre lanciava la sua BMW cabrio ad oltre centosettanta chilometri all’ora in direzione della costa. Lo sguardo si soffermò brevemente sullo specchietto retrovisore prima di scivolare sulle cosce della ragazza che sedeva accanto a lui, Dominique Ferrera.
“Guarda”, le disse indicando l’orizzonte: “Il cielo è azzurro. Vedrai che troveremo un tempo fantastico! Sarà un fine settimana indimenticabile.”
Per tutta risposta Dominique gli rivolse un’occhiata languida.
Era luglio inoltrato e da più di quindici anni non si registravano temperature così calde.
“Tra quanto arriveremo?”
“Se ci va bene un paio d’ore.”
Dominique gli sfiorò la coscia lasciando presagire le sue intenzioni per i due giorni successivi; lui le rivolse un sorriso e cercò di concentrarsi sul traffico.
Harold Labinsky e Dominique Ferrera si erano conosciuti due settimane prima. Lei lavorava da poco nel negozio dove Harold acquistava abitualmente le cravatte. Dominique gli si era avvicinata con un paio di regimental che Harold aveva scelto e gliele aveva accostate al collo. Non aveva accostato solo le cravatte, per l’esattezza; Harold non era rimasto indifferente al contatto del corpo di lei con il suo e non aveva perso l’occasione per invitarla a cena. La serata era continuata nell’appartamento di Harold, dove Dominique si era rivelata molto brava non solo nel vendere cravatte. Quando la mattina dopo gli aveva preparato la colazione, i suoi occhi brillavano come quelli di chi ha raggiunto il sogno della sua vita. Per Harold invece, era solo l’inizio.

Il sibilo dell’aria che avvolgeva l’abitacolo della BMW si mescolava con il ritmo frenetico dei Ramones che suonavano Rock’n’Roll High School a tutto volume. Tutto quel rumore toglieva ogni possibilità di conversazione, ma nessuno dei due pareva infastidito dalla cosa.
Harold Labinsky era un ex avvocato di San Diego, di famiglia benestante, ma il padre si era sempre rifiutato di allungargli anche solo un centesimo. Aveva iniziato la sua carriera racimolando clienti al pronto soccorso e intentando cause per risarcimento danni. Con quello che intascava ci viveva a malapena, ma poi le cose erano cambiate: suo padre era morto improvvisamente e Harold aveva ereditato l’intero patrimonio. Aveva smesso di esercitare e si era dedicato a tempo pieno a godersi la vita.
Aveva acquistato la casa al mare un paio d’anni prima e ci andava spesso per riprendere fiato dalla vita mondana che conduceva a San Diego. L’ultima volta c’era stato un paio di giorni prima per verificare che tutto fosse pronto per il fine settimana: aveva pianificato tutto nei minimi dettagli.
Non era sposato. Lo era stato quando bazzicava gli ospedali con le tasche piene di biglietti da visita da distribuire, ma con l’arrivo dei soldi aveva deciso di lasciarsi alle spalle molte cose, compresa sua moglie e quella casa al mare gli era tornata utile: era il luogo ideale per i suoi incontri poco convenzionali.
Harold non aveva mai avuto problemi nel trovare una donna per passare la sera o il fine settimana. Ma dopo poco era sopraggiunta la noia. Non lo eccitava più conquistare una nuova donna e scoprire un nuovo corpo: alla fine erano diventati tutti uguali per lui. Così aveva iniziato a frequentare dei club dove ci si spinge oltre e aveva conosciuto le pratiche del dolore: era rimasto molto sorpreso quando aveva capito che ne era attratto come l’ago della bussola dal nord. Gli era piaciuto l’effetto che faceva infliggere il dolore e lo aveva fatto sempre più spesso.
Lanciò un’occhiata a Dominique: era intenta a fissare il paesaggio che scivolava veloce accanto a loro e in quell’istante sembrava che la sua pace fosse inattaccabile. Aveva uno sguardo dolce.
Harold sorrise pensando a quello che l’aspettava e che nemmeno immaginava.

Il sole stava scomparendo dietro la linea dell’orizzonte quando la BMW infilò una strada con le palme ai lati. Passarono attraverso un paesino che stava vivendo il suo massimo momento di splendore in quel mese dell’anno. C’era traffico e dovettero rallentare. Molti passanti si voltarono attratti dai capelli neri fluenti di Dominique e dall’abito che non nascondeva nulla. Anche Harold aveva apprezzato quell’abito, ma le sue fantasie sul corpo di quella donna erano ben diverse da quelle della maggior parte dei passanti.

Si lasciarono le luci vivaci del paesino alle spalle e dopo mezz’ora di guida arrivarono. Si era fatto buio e la casa di colore bianco era ben visibile sullo sfondo scuro dell’oceano. Era una costruzione in legno della metà dell’ottocento, circondata su tre lati da un giardino ben curato che lasciava gradualmente spazio alla sabbia. Harold fermò la macchina alla fine della stradina sterrata che conduceva alla scalinata di ingresso.
“Che bella!” esclamò Dominique aprendo la portiera del passeggero.
Harold lanciò un’occhiata al giardino per controllare che il manto erboso fosse uniforme. Aveva fatto un bel lavoro: non si vedeva traccia delle buche che erano state scavate nel tempo.
“Tesoro, credo che dovresti lasciare San Diego e trasferirti qui. E’ assolutamente meraviglioso.” Dominique gli corse incontro e lo baciò. Era così dolce ed indifesa: era per quello che l’aveva portata fino a lì.
“Dom, prendi la borsa e entriamo.” Le fece strada verso la porta di ingresso.
“Che vista romantica,” squittì Dom appena entrata nell’ampio salone. “Da qui si vede l’oceano. Tesoro, vieni che ci sediamo sul divano, vuoi?”
Harold aveva lasciato che Dominique vedesse solo il suo lato superficiale in quelle due settimane, e lei se ne era innamorata. Non aveva fatto trasparire nulla di ciò che c’era sotto la scorza del piacente uomo di successo, ma sapeva che non ce l’avrebbe fatta ancora a lungo a tenere la bestia a bada.
“Certo…ti preparo qualcosa da bere?”
“Una birra va bene.”

Il mattino dopo furono sorpresi dai raggi del sole che si riflettevano sullo specchio dell’oceano Pacifico mentre erano ancora stesi sul divano, avvinghiati l’un l’altra.
Dominique si infilò subito in cucina dove diede ulteriore prova del suo talento ai fornelli, riuscendo a trovare tutto quello di cui aveva bisogno come se quella fosse stata la cucina di casa sua.
Mentre si dava da fare ai fornelli Harold si concesse una veloce doccia e fece capolino in cucina avvolto in un accappatoio bianco.
“Che profumino!”
“C’era solo l’imbarazzo della scelta. Il frigorifero è stracolmo di ogni ben di dio.”
“Mi sono organizzato per tempo…” Harold si irrigidì d’improvviso sentendo il rumore di un automobile sulla ghiaia del vialetto di accesso. Dieci secondi dopo il campanello suonò. Dominique rimase immobile con lo sguardo fisso su Harold.
“Chi è?” chiese Harold con voce fredda mentre si avvicinava alla porta.
“Salve. Scusi il disturbo, ma temo che io e mia moglie ci siamo persi.”
Harold aprì lentamente e si piazzò tra lo stipite e la porta coprendo la vista dell’interno della casa con il suo corpo.
“Dove siete diretti?”
L’uomo di mezza età indossava dei bermuda marroni e una camicia a fiori. Harold lanciò un’occhiata verso la macchina e vide una donna di almeno dieci anni più giovane del suo compagno seduta sul sedile del passeggero; quando si accorse che la stava guardando, la donna abbassò la testa e si aggiustò il cappello dei Cardinals sugli occhi.
“Dobbiamo andare al 1216 di Sunset Drive.”
“E’ nella direzione giusta. E’ circa due miglia più avanti.”
“Grazie infinite. Con tutte queste stradine è facile confondersi.” disse il turista cercando di avviare una conversazione amichevole. Harold lo fissò senza dire nulla; l’uomo abbassò lo sguardo e si avviò verso la macchina dove la sua compagna lo stava attendendo. Harold rimase in piedi di fronte alla porta a guardarlo salire in macchina e allontanarsi.

“Era lui.”
“Sono riuscita a scattare un paio di foto senza che se ne accorgesse.” Disse l’agente Carol Naimy mostrando la ghiera dell’orologio che aveva al polso all’agente John Russels, il quale la guardò con soddisfazione mentre si avviava a velocità moderata su Sunset Drive.
“Chiama la centrale e comunica il contatto.”

“Che voleva quel signore tesoro?”
Dominique era seduta sul bancone che divideva in due la cucina e mangiava uova e pancetta leggendo l’edizione del San Diego Union Tribune del giorno prima.
“Niente. Due turisti che avevano perso la strada.”
Harold aveva programmato di godersi il fine settimana a partire da quel preciso istante, ma quella visita inaspettata lo indusse a rimandare. Era nella sua natura essere sospettoso ma nella situazione in cui si trovava era bene esserlo una volta in più del necessario.
“Guarda: sul Tribune c’è scritto che forse la polizia ha una traccia del serial killer.”
Harold prese il giornale e lesse l’articolo. Il cronista riportava che a seguito di recenti sviluppi delle indagini, il serial killer che stava seminando il terrore a San Diego aveva le ore ormai contate. Quell’uomo, o così almeno sospettava la polizia, aveva rapito e assassinato dodici ragazze dai diciotto ai ventisette anni negli ultimi due anni. I corpi non erano stati ancora ritrovati, ma la polizia era ormai certa che si trattasse di azioni della stessa persona. Tutte le ragazze avevano in comune l’origine ispanica e lavoravano nella zona centrale della città.
“Non mi sento per niente tranquilla quando leggo queste cose sul giornale.” disse Dominique pensando alle sue origini portoricane e al suo lavoro.
“Stai tranquilla. Su di te vigilo io: non hai nulla di cui preoccuparti.”
Dominique lo baciò rincuorata.
“Devi ancora farmi vedere il resto della casa. Da dove iniziamo?” disse con tono malizioso.

“Harold Labinsky.” Disse l’agente in carica delle operazioni, Margaret Donnol. “Tutto torna. La casa è intestata a lui e le descrizioni combaciano.”
“Ma non abbiamo uno straccio di movente né di prova.” Fece notare Carol Naimy.
“E nessun indizio che giustifichi un mandato di perquisizione in quella casa.” Aggiunse John Russels.
“Teniamolo d’occhio. Ci scommetto una palla del mio ex marito che è lui il bastardo che cerchiamo.” sentenziò l’agente Donnol.

Harold sentì lo scroscio dell’acqua uscire dalla doccia del piano superiore.
Si affacciò alla finestra che dava sul vialetto d’accesso per controllare se ci fosse qualcuno in vista. Nessuno. Quei due potevano essere veramente due turisti del fine settimana che si erano persi; non era una cosa strana che quei luoghi fossero frequentati da coppie clandestine in cerca di un po’ di intimità al di fuori da occhi indiscreti. Anche lui aveva scelto quel posto per lo stesso motivo.
Chiuse la porta a chiave e si diresse verso la grande vetrata che dava sull’oceano. Non vide imbarcazioni transitare nelle vicinanze, ma per sicurezza chiuse le spesse tende. Si diresse verso la porta a scomparsa che portava al piano interrato. Con una lieve pressione attivò il meccanismo celato alla vista e aprì l’accesso ad una scala che portava al piano inferiore. Non era insolito che quelle case sulla costa, che risalivano alla metà dell’ottocento, avessero delle vie di fuga progettate assieme alla casa stessa.
L’aria era umida e il pavimento sconnesso. Si avviò verso l’unica stanza che aveva ricavato lì sotto. Era perfettamente attrezzata per l’uso a cui l’aveva adibita: tortura e omicidio.
Al centro c’era un letto con un materasso e ai quattro lati si ergevano dei paletti di ferro ai quali erano legate quattro manette. Le aveva usate per immobilizzare le sue vittime con gli arti divaricati. Era una cosa che aveva fatto solo le prime volte, poi si era annoiato. Preferiva di gran lunga la catena che pendeva dal soffitto alla quale aveva legato più di qualche donna. Esattamente sotto al punto nel quale la catena era conficcata al soffitto, il colore rosso bruno del pavimento testimoniava quello che era successo in quel luogo.
Ai piedi del letto c’era un treppiede con una telecamera. Malgrado fosse una cosa tutt’altro che originale, il piacere che provava nel riguardare le registrazioni era immenso. L’aveva sostituita da poco, con un modello che registra su dvd: la qualità delle immagini era migliore e durava di più.
La dolcezza e l’ingenuità che Dominique nascondeva sotto il suo corpo prosperoso sarebbero state un soggetto fantastico da riprendere, istante per istante, fino alla fine. Non sapeva ancora come l’avrebbe portata al momento finale: non era una ragazza come le altre e l’avrebbe trattata con tutti i riguardi del caso. Era eccitante non sapere cosa sarebbe successo: rendeva l’attesa più fremente.
Controllò la tenuta della catena e inserì un dvd vuoto nella videocamera. Era pronto per godersi il fine settimana.
Risalì le scale noncurante del fatto che Dominique lo avrebbe visto sbucare dalla porta segreta. Quando rientrò nella grande sala, la sentì canticchiare dalla cucina.
“Dom, cosa stai cucinando?”
“Che ne dici di mangiare italiano? Pasta con i frutti di mare: è una mia specialità.”
“Ottima scelta Dom.” Le urlò dalla sala. Un’ultima sbirciata sul vialetto di ingresso. Tutto tranquillo. Si diresse verso la cucina. Dominique gli dava le spalle, concentrata nel dosare il sale da mettere nell’acqua che stava bollendo. Le si avvicinò senza far rumore. L’istante prima dell’inizio dello spettacolo era il più eccitante: la sorpresa e poi il terrore negli occhi della vittima gli procuravano un brivido che partiva dal basso ventre. Era la prima volta che succedeva nella sua cucina; di solito rapiva le sue vittime in una strada buia o in un parcheggio sotterraneo. Rallentò ancora il passo per godere fino in fondo di quel momento.
E infine accadde.
Dominique si girò di scatto e gli lanciò sul volto l’acqua bollente dalla pentola che teneva con la mano destra. Harold urlò per la sorpresa e poi per il dolore. Mentre si portava le mani agli occhi Dominique completò la torsione allargando il braccio sinistro e dirigendo la mano, nella quale impugnava un coltello da cucina, verso il plesso solare di Harold. Il movimento fu veloce e preciso: quando ebbe terminato la sua azione Harold era steso a terra con il viso ustionato e un coltello che gli spuntava dallo stomaco. Con calcolata lentezza Dominique estrasse il forchettone per la carne dal porta coltelli e si avvicinò ad Harold, che ormai non sentiva nulla oltre al dolore che lo attanagliava. Glielo infilò sotto il mento con precisione chirurgica e spinse verso l’alto. Le sofferenze di Harold terminarono in quell’istante.

Tornato il silenzio nella cucina, Dominique prese il cellulare e compose un messaggio:
‘Milionario terminato: ho vinto la scommessa! Adesso tocca a te: un dollaro che non ammazzi un poliziotto entro domenica prossima. Pam.’
Lo inviò e uscì dalla casa.
Dopo alcuni istanti il cellulare vibrò avvertendola di un messaggio in arrivo:
‘Solita fortunata! Scommessa accettata! A domenica. Rose.”



FINE

Saturday, October 02, 2010

I found you (Se perdo te) in Modena

God in Modena